Da solo su un'isola deserta by Tom Neale

Da solo su un'isola deserta by Tom Neale

autore:Tom Neale
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: ISBN 9788885986541
editore: Editrice Incontri Nautici
pubblicato: 2005-04-15T00:00:00+00:00


9. A letto con la febbre

PARTITI I MIEI VISITATORI e tornato alla normale routine, mi dedicai a un nuovo lavoro che avrebbe avuto effetti devastanti sulla mia salute. Naturalmente allora non lo sospettavo minimamente. Mi preoccupai di fare qualcosa in merito all’unica bruttura che rovinava la mia bellissima isola: erano i resti del vecchio molo costruito con blocchi di corallo ai vecchi tempi della raccolta della copra. Nel 1942 lo stesso tifone che colse Frisbie distrusse e devastò il molo che non fu mai più ricostruito, dato che la copra, avendo perso il suo valore, non venne più prodotta. Di conseguenza i suoi resti erano ormai sparpagliati qua e là da dieci o undici anni. Tutta la spiaggia era disseminata di pesanti blocchi rimasti sulla sabbia dove erano stati scaraventati dal tifone quella fatidica notte.

Mi ero vergognato talmente di tale disordine quando i Worth arrivarono che capii che l’unica alternativa era quella di ricostruire il molo così da usarlo per pescare. Avessi saputo la quantità di lavoro e il tempo che avrebbe richiesto tale impresa non avrei mai iniziato. In un primo momento, però, quando alacremente iniziai a trascinare i pezzi di corallo per metterli a posto, il lavoro appariva così semplice, che non sembrava richiedere più di un paio di settimane.

Il molo originale doveva essere lungo una sessantina di metri e si protendeva verso la barriera corallina. Le fondamenta erano ancora al loro posto sull’orlo della barriera corallina in acque poco profonde. Il mio “ricostruire” consisteva nel sollevare, spingere o fare rotolare nell’acqua fino alle fondamenta i blocchi di corallo dalla forma irregolare, togliendoli dalla spiaggia o dal limite del sottobosco, dove la tempesta li aveva sbattuti. A volte dovevo fare leva con il piccone o il piede di porco sui blocchi più grossi per sollevarli dalla sabbia e dal pietrisco.

Verso la fine di agosto, anche se avevo lavorato tre ore al giorno per quasi un mese, mi sembrava di non avere fatto progressi. Questa cosa non mi sorprese, visto che non avendo né una fune né attrezzi adeguati, a volte impiegavo un’intera mattinata per spingere un unico blocco di corallo lungo la spiaggia.

Alcuni li lasciavo dov’erano fino all’arrivo dell’alta marea, visto che sott’acqua li avrei spostati con maggiore facilità, perché sarebbero apparsi più leggeri. Più volte dovetti abbandonare il lavoro per vari giorni perché i bordi taglienti del corallo, che era così difficile da maneggiare quanto un porcospino, avevano ferito la punta delle mie dita fino a lasciare intravedere la carne viva. Sapevo dall’esperienza che se un solo graffio si fosse infettato, mi sarebbe venuta la febbre nel giro di poche ore.

Fu un’impresa lunga e impegnativa. Ogni volta che rotolavo lentamente una mezza dozzina di questi blocchi “a porcospino” per posizionarli, li dovevo poi “compattare”. Ricordai che, anni prima, avevo letto un articolo che descriveva il modo in cui gli uomini del Derbyshire, in Inghilterra, costruivano i muri a secco con le pietre: io avrei dovuto fare come loro. I blocchi di per sé sembravano abbastanza solidi, ma



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